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C’è una guerra culturale in atto: è la dittatura woke. E si ha paura a parlarne

Da una parte ci sono i progressisti. Dall'altra i conservatori. In mezzo le minoranze. Perché molti docenti hanno paura a parlarne?
Da una parte ci sono i progressisti. Dall'altra i conservatori. In mezzo le minoranze. Perché molti docenti hanno paura a parlarne?

Qualcuno le definisce "culture wars". Quelle che si consumano nelle università d’America rappresentano oggi l’ultimo capitolo della guerra culturale che vede contrapposto il mondo progressista e quello conservatore, in lotta ciascuno per il proprio sistema di valori. Negli Usa se ne parla costantemente ormai da almeno una decina d’anni con acceso e spesso velenoso dibattito a corredo.

Al centro delle polemiche, la cosiddetta "cultura woke". Se all’inizio il sostantivo "wokeness" e l’aggettivo "woke" indicavano "consapevolezza", solidarietà attiva contro ingiustizie sociali, razzismo, discriminazioni di genere, ma anche riscaldamento globale, oggi vengono impiegati perlopiù in accezione negativa, per descrivere un approccio considerato troppo liberale. 

L’ultimo episodio riguarda la denuncia della non profit conservatrice America First Legal che accusa la Disney di portare avanti per i suoi programmi tv una "agenda politica", con contenuti definiti "anti-bianchi". Una contestazione folle per la sinistra, in quanto si tratta semplicemente aiutare i ragazzi a capire e combattere le storture del razzismo endemico nella società americana.

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L'università come epicentro dello scontro - Ma è nelle università che lo scontro diventa più acceso. La destra prende di mira le campagne che animano molti campus statunitensi e la cosiddetta "cancel culture" ovvero la tendenza rivolta ad "eliminare" e silenziare socialmente o culturalmente chi si macchi di azioni o utilizzi espressioni considerate non rispettose o discriminatorie.

Nel calderone delle citriche finisce la questione dei cosiddetti "neopronomi" che ai classici binari he/she, aggiungono ad esempio xe/xyr, ze/zir, ey/em/eir e ancora ae/aer, ma l’elenco potrebbe continuare; oppure il numero di ammissioni riservate agli studenti appartenenti a minoranze; ma anche i programmi che spiegano il razzismo endemico e nascosto, come il corso "Students Exploring Whitenes" della Columbia University.

I detrattori non tollerano neppure la "critical race theory", ovvero l’approccio alla storia, alla cultura e alle istituzioni statunitensi che tiene conto dell’innegabile razzismo sistemico della società.

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Dei focolai di radicalismo - In un’America sempre più polarizzata, il tema è incandescente. Lo dimostra la difficoltà a trovare docenti disponibili a parlare apertamente di ciò che accade nei corridoi delle loro università. Molti hanno preferito declinare, qualcuno ha scelto di darci la sua opinione ma in forma rigorosamente anonima per evitare grane con gli atenei.

«Ci sono dipartimenti effettivamente molto estremi in alcune università del Paese, ma si tratta di casi isolati» ci dice un docente newyorkese. «Potremmo definirli focolai di radicalismo, ma sono comunque un’eccezione. Il clima politico varia da una facoltà all’altra», spiega. 

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Le origini e l'attuale comunità della cultura woke - Di cultura woke si è iniziato a parlare soprattutto con la nascita del movimento Black Lives Matter, germogliato come protesta contro il razzismo sistemico nella società e nelle istituzioni americane e la brutalità delle forze di polizia a scapito dei cittadini afroamericani.

Oggi il raggio è sicuramente più ampio e abbraccia una nutrita comunità di "ally", ovvero gli alleati delle minoranze e della comunità LGBTQ che però spesso appartengono a categorie privilegiate ed escluse da discriminazioni. 

Le discipline umanistiche meno equilibrate - Usualmente i dipartimenti più inclini a posizioni radicali sono quelli legati alle discipline umanistiche. «In alcuni casi si è effettivamente avuta l’impressione che stessero flirtando con il ridicolo», dice un’insegnante di materie letterarie. «Le facoltà scientifiche ed economiche tendono a essere più equilibrate. Per quanto mi riguarda è importante non fare di tutt’erbe un fascio. Il panorama delle università americane è molto ampio, ricco e variegato».

Tuttavia, avverte, è molto pericoloso enfatizzare solo le esagerazioni. Per la professoressa, in molti casi la destra tende a iperbolizzare singoli episodi, spostando l’attenzione da problematiche che non andrebbero comunque sottovalutate. 

DEPOSITIl governatore della Florida Ron DeSantis

Un caso ultraconservatore nocivo - Un eloquente caso, a riguardo, è quello fornito dal governatore della Florida Ron DeSantis. L’ex candidato presidenziale ultraconservatore, ad esempio, ha messo mano al sistema scolastico del suo stato limitando gli insegnamenti relativi a razza e sessualità, tant’è che alcuni testi sono addirittura stati messi al bando nelle biblioteche.

Nel mirino del governatore ci sono anche le atlete transgender, escluse dalle competizioni femminili. Un approccio nocivissimo secondo la sinistra americana, dal momento che il crescente fronte anti-woke, capitanato da personaggi come DeSantis, oltre a disprezzare le idee di uguaglianza e giustizia sociale, tende anche a screditare tutte le cause portate avanti dai progressisti negli ultimi anni.


Appendice 1

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DEPOSITIl governatore della Florida Ron DeSantis